Nelle sale dal: 21/04/2016
Voto: 8
Recensione di: Stefano Priori
L’aggettivo ideale: Umano
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“Le confessioni “ di Roberto Andò è un film che appare per certi versi troppo schematico e non sempre dotato di un rigore formale all’altezza della situazione.
Un film a cui lo spettatore non riesce ad assuefarsi facilmente, specie in principio.
L’economia e la scelta di un summit “G 8” che dovrebbe decidere il destino dell’umanità gestendo truffe più o meno lecite non convince a fondo, ne in realtà ci interessa.
E’ invece un pretesto per rappresentare una storia, che si scontra con una ridondanza dei dialoghi e una loro presunta vulnerabilità letterale, che il regista vorrebbe farci assimilare. Anche il “segreto del film” che sembra essere il suo motore trainante, non si dichiara mai realmente e l’autore infine rivela allo spettatore una trama che è dettata dal nulla.
Forse il vero risvolto filmico è il silenzio strettamente monastico del protagonista.
L’assoluzione non data dal monaco, senza il pentimento pieno dell’economista, ne fanno un film spirituale.
I dialoghi sovrabbondano ma non possiamo dire che manchino di intensità. Anche la cura estetica di alcune carrellate attorno al tavolo dei partecipanti al summit all’inizio del film, tutte giocate ruotando da sinistra a destra e nel finale invece da destra a sinistra, sembra siano girate da due mani differenti, rispetto alle scene iniziali. Non sappiamo se nella lavorazione del film, vi sia stato un cambio di operatore alla macchina, ma tutto ce lo fa pensare.
La cura nel dettaglio della panoramica all’alba che arriva poi all’introduzione nella bara del corpo dell’economista, con la visione della finestra non è certo casuale e sembra confermarlo.
Il film vive di momenti in cui appare la desolazione umana del gioco macroeconomico sui volti dei protagonisti, ma sembrano proprio gli attori e la loro recitazione a rendere credibile questo clima, più che le intenzioni dell’autore nel far trasparire appieno il lato emotivo dell’uomo.
Autore che sembra remarsi contro con dialoghi sovracostruiti. Forse il momento più alto e geniale, ci risulta il gioco di nudi che si alternano davanti alla macchina da presa, dopo l’entrata nel mare del monaco, gioco che termina con la chiusura delle palpebre di una donna quasi cadaverica come a determinarne la vitalità.
Il film ha spunti che lo rendono acuto e geniale, ma non in modo continuativo. Toni Servillo è un grande attore a cui il cinema italiano deve essere grato. Anche il casting del film non sembra da meno. Non era certo un’equazione di una funzione matematica, come poi ci spiegherà l’autore a rispecchiare una decisione ‘formale’ in modo assoluto.
Allora forse l’autore non doveva svelarlo come fosse un inganno, ma lasciarlo vivere proprio come un segreto.
La sceneggiatura che alterna i dialoghi ‘risolutori’ del lato confessionale riportandoli al presente del film è davvero ben costruita. Anche il carattere di giallo con la citazione di Hitchcock , ci appare verosimile per la combinazione di sequenze che vivono dentro l’hotel stesso. Il padrone dell’hotel affetto da alzheimer che restituisce il registratore di suoni al monaco segna il confine del concetto di dimenticanza.
La scena finale del cane rabbioso che corre attorno al tavolo fin contro il padrone è interessante. E’ una scena commovente e dà un compito Francescano al monaco. Trovo le ultime inquadrature in campo largo dal basso del discorso di commiato di Servillo davvero orripilanti, per fortuna resistono bene i campi stretti. Lo stesso dialogo di commiato doveva essere risolto con incisività, perché appare retorico e scontato a parte i discorsi evangelici.
Ecco il film doveva finire qui con la scomparsa del monaco e la scrittrice che fa la valigia, poi tutto il resto è davvero sommario e forse superfluo.